L'Italia in camicia nera by Indro Montanelli Mario Cervi
autore:Indro Montanelli, Mario Cervi
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR
PARTE SECONDA
CAPITOLO QUINTO
«UN BIVACCO DI MANIPOLI»
Mussolini aveva composto il suo governo in poche ore, ma erano state ore intensissime. Il suo primo scrupolo era stato quello di dimostrare che il fascismo non era avido di «posti» ed era disposto ad accettare la collaborazione di tutti gli uomini di valore. Egli voleva dare al suo ministero un’impronta meritocratica se non proprio tecnocratica, anche perché non si fidava molto dei suoi, quasi tutti giovani ed esperti solo di bastone e rivoltella. I tre che aveva scelto – Oviglio, De Stefani e Giuriati – erano fra i meno in vista come capi di squadre. Comunque i due portafogli più importanti, gli Esteri e gl’Interni, li aveva tenuti per sé.
Ma altre due cose volle subito sottolineare. La prima è che non intendeva trattare con le segreterie degli altri partiti che accettavano di collaborare con lui, lasciando ad esse la designazione degli uomini da cooptare nel suo ministero: gli uomini se li scelse da sé, interpellandoli o facendoli interpellare direttamente. Di uno di essi, Gentile, che non era mai stato fascista, non conosceva nemmeno il nome. Glielo propose, per la Pubblica Istruzione, Lanzillo. Ed egli dovette restare piuttosto stupito quando, all’offerta, Gentile rispose ponendo due condizioni: che fossero ristabilite le pubbliche libertà e introdotto nelle scuole secondarie l’esame di Stato. Mussolini promise.
Ma il suo sforzo maggiore fu quello di sottrarsi subito a ogni condizionamento di destra. Tutti erano convinti ch’egli avrebbe chiamato al suo fianco Salandra per garantirsi l’appoggio delle forze conservatrici. Invece non ne prese in considerazione nemmeno l’eventualità, e tenne a marcare subito le distanze dagli uomini che si erano adoperati per una «combinazione» con lui. Fu per questo che subito rinfacciò brutalmente a De Vecchi di aver cercato di sabotare e mutilare la vittoria mentre «io ero sulle barricate a rischiare la vita, non a lavorare per pateracchi ministeriali dell’ultima ora», e dopo aver rimproverato a Grandi di non aver avuto fiducia «nella sua stella», lo mise addirittura sotto inchiesta e lo tenne in quarantena per due anni.
È difficile pensare ch’egli credesse veramente a un loro tradimento. Ma gli faceva comodo fingere di crederci per tenere a bada, mettendole in stato d’accusa, le forze di destra ch’essi incarnavano. Coloro di cui più diffidava erano i nazionalisti, legatissimi al gruppo salandrino, che del resto reciprocavano il suo atteggiamento. E il vero motivo per cui tenne per sé il portafogli degli Esteri fu per non darlo a Federzoni, che lo considerava una sua spettanza e che venne invece relegato alle Colonie.
Come al solito, Mussolini non voleva essere etichettato «di destra» e tentava di dare al suo governo un carattere socialmente aperto. Offrì un portafogli anche al repubblicano Comandini che rifiutò. Ma l’operazione riuscì coi «popolari» che, di fronte al suo invito, si divisero. Contrari si dichiararono la sinistra e il gruppo di centro che faceva capo a don Sturzo. Ma la destra e i centristi di De Gasperi, appoggiati dalla Chiesa, si dichiararono invece favorevoli, ed ebbero partita vinta perché don Sturzo, contro le
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